PETROLIO INSANGUINATO

Nel mio articolo L’INVENZIONE DEL MEDIO ORIENTE, pubblicato da Asino Rosso, ricordavo la rilevanza del fattore risorse nella formazione moderna di quella regione del mondo e delle relative conseguenze del loro uso nel destino di quei popoli. Leif Wenar, un filosofo della politica, già a fianco di Rawals ad Harvard e successivamente con Scanlon ed ora docente al King’s College di Londra, ha voluto, da parte sua, scrivere un libro dedicato alle risorse naturali, ai diritti che regolano il commercio internazionale e le relazioni tra stati. Ne è uscito un testo, per i tipi della Oxford University Press, di grande impatto sulla pubblica opinione da titolo Blood Oil (Petrolio insanguinato), che investiga sul processo di sottrazione  a quei popoli delle risorse naturali promosso dalle grandi potenze sul suolo africano, asiatico e mediorientale con la complicità di regimi autoritari e delle stesse élites locali che consentono tali situazioni inaccettabili. L’Occidente, ricco e sedicente civile e democratico, finisce dunque, secondo lo studio di Wenar, per perpetuare condizioni illegali, acquistando petrolio o diamanti, in concorrenza soprattutto, con la Cina, il cui operato supera ogni limite di cinismo, da regimi corrotti e senza scrupoli. I beni di questi Paesi appartengono al popolo, scrive Wenar, e non agli autocrati che li governano così disinvoltamente, depredandoli. Il diritto di autodeterminazione dei popoli viene in questo modo disatteso, nonostante che sia universalmente accettato in tutte le sedi. Prevale invece quello che con termine inglese si chiama might implies right o principio di effettività, principio, invero, antico, ma incoerente con i proclami ufficiali. Da buon studioso Wenar evoca ed invoca la norma del clean trade, una specie di regola commerciale, purificata, che tutti gli stati dovrebbero accettare. L’effettività ha il sapore del passato ormai, se pur ancora irrinunciabile dalle moderne potenze e il contrario sarebbe altamente auspicabile, anche se riesce difficile comprendere, allo stato, come possa avvenire. Sotto tale aspetto, l’autore non riesce sempre con la debita efficacia a difendere la propria tesi. Se è vero, infatti, che non finanziare i regimi autoritari e corretti sarebbe di vantaggio per l’Occidente, non sempre questa strada è percorribile senza rischi in presenza di una conflittualità sempre più incontrollata ed incontrollabile. Il problema degli equilibri mondiali in una realtà progressivamente frammentata ed incerta suscita sconcerto e mette in crisi anche la possibilità di pervenire ad un pianeta retto da principi morali. Circostanza che conferma la difficoltà di conciliare etica ed interessi, anche se ciò sia ragionevolmente auspicabile.
Casalino Pierluigi, 25.11.2016