Andrea Doria, figlio di Oneglia

 

Andrea Doria, per molti, oggi, rimane un principe dimenticato e, nonostante la retorica di facciata, ad Oneglia, ma direi ad Imperia, in genere, il suo nome e la sua gloria sono appannate dal grigiore di un clima di scarso spessore culturale. E oltre ad essere figlio di Oneglia, il grande ammiraglio può essere giustamente chiamato figlio di Imperia, dal momento che Oneglia e Porto Maurizio erano ancora unite, durante la sua vita, sotto l’influenza genovese. Politico scaltro e spregiudicato, corsaro, padrone indiscusso di Genova, Andrea Doria è stato probabilmente l’uomo di stato italiano più importante dei decenni centrali del XVI secolo. Da bambino tento’ più volte di sfuggire alla madre per imbarcarsi su galee genovesi verso la grande capitale ligure. Affarista, ammiraglio, signore della Superba per oltre trent’anni, braccio destro di Carlo V, cavaliere del Toson d’oro e mecenate, Andrea sembrerebbe la personificazione del Principe rinascimentale. Eppure, quando si pensa alle personalità più rappresentative dell’Italia del Rinascimento, Andrea Doria non è certo tra le prime a venire alla mente, ma pochi ne conoscono il genio. Questo parziale oblio è in parte dovuto al fatto che la vita di Andrea Doria si è quasi interamente svolta nel periodo iniziale del cosiddetto predominio straniero sull’Italia. «Oggi tutta la cristianità – disse lo stesso Doria a Federico Gonzaga – è divisa in due partiti, quello dell’imperatore, e quello di Francia, e chiunque voglia contare qualcosa deve aderire all’uno o all’altro».Andrea Doria, come viene raffigurato nel ritratto opera di Sebastiano del Piombo,1526 circa, appare ricco di una personalità spiccata e aperta verso la ricerca dell’ affermazione di sé e del mondo che rappresenta. Nel 1466, l’anno di nascita di Andrea Doria ad Oneglia, Genova aveva tra i 50mila e i 60 mila abitanti. Era una città stretta fra il mare e la montagna, e questo non era un semplice dato geografico: la città doveva infatti la sua prosperità al commercio marittimo, al quale si era poi aggiunta la finanza. Tuttavia le grandi famiglie che contavano quali Doria, Spinola, Grimaldi e Fieschi avevano le basi del loro potere nei feudi e nei castelli delle montagne che la circondavano. Da qui potevano controllare le vie di traffico verso la Pianura padana e da qui reclutavano gli armati che li sostenevano nei frequenti conflitti interni alla città. Queste consorterie aristocratiche erano suddivise in una molteplicità di rami, tra i quali vi erano grandi disparità di ricchezza e prestigio. E Andrea, benché Doria sia da parte di padre sia di madre, non era nato in uno dei rami più fortunati. Suo padre, Ceva Doria, signore di Oneglia (luogo di nascita di Andrea, appunto) si trovò a un certo punto costretto a vendere i suoi titoli feudali. Ma se il patrimonio materiale era modesto, quello immateriale, costituito dalle relazioni di famiglia e di parentela, aveva pur sempre un valore. Nel 1485 fu grazie al lontano parente, Nicolò Doria, a sua volta parente di papa Innocenzo VIII – il genovese Giovanni Battista Cibo –, che Andrea si avviò, come tanti nobili italiani di modesta condizione economica, al “mestiere delle armi” nella guardia pontificia. Il porto di Genova, dove si svolge l’allegorico incontro tra Paolo III, Carlo V e Andrea Doria, preludio della costituzione della Sacra lega contro Solimano e immortalato in altro ritratto, conservato presso il Museo Navale di Genova-Pegli. Andrea Doria fu certamente condottiero e corsaro, ma incarnò quel ruolo di principe rinascimentale teso alla coniugazione del valore con la fortuna come teorizzato dal Machiavelli. I primi tempi della carriera del giovane Doria coincisero con un periodo molto travagliato, quello delle Guerre d’Italia, un momento storico che presentava certamente grandi rischi ma offriva anche grandi opportunità al momento opportuno e chi riuscisse ad abbinare, come detto, il valore alla fortuna, apriva le porte al successo. E Andrea aveva tutte le qualità necessarie per navigare nelle acque insidiose dei conflitti italiani che si incrociavano con i grandi conflitti europei e mediterranei. Una navigazione non solo metaforica. Dal 1513 infatti, con due galee di sua proprietà, il giovane Doria partecipò a diverse spedizioni contro i corsari barbareschi e nel 1519 ottenne un primo successo importante con la cattura del corsaro Gad Alì. Adire il vero nel Mediterraneo di allora la differenza fra pirati, corsari e rispettabili capitani di navi da guerra era spesso incerta. E in questa incertezza il Doria si muoveva con abilità e disinvoltura. Nel 1522, sebbene già legato in precedenza al fronte filo spagnolo, si mise al servizio della Francia: le sue galee si battevano a fianco di quelle di Francesco I e il Doria arrotondava con i proventi della cattura delle navi nemiche, spagnole o barbaresche, e il riscatto dei prigionieri. Ma il rapporto con il re di Francia, che pure lo aveva nominato suo luogotenente nel Mediterraneo, non era facile soprattutto per ragioni economiche. D’altra parte sul fronte imperiale furono molti, tra cui l’influente cancelliere Mercurino Gattinara, ad auspicare un accordo con colui che sempre più appariva come l’uomo forte di Genova. I tempi erano maturi per un nuovo cambio di fronte. Nell’agosto del 1528 Carlo V nominò Doria capitano generale della flotta spagnola nel Mediterraneo. Era l’inizio di un sodalizio che sarebbe durato quasi trent’anni.
Il cambio di campo di Doria non fu solo il risultato di un calcolo opportunistico personale, ma il logico punto d’arrivo di un processo storico. Dall’inizio del XV secolo infatti Genova aveva perso terreno nei traffici del Mediterraneo orientale a causa della concorrenza veneziana e dell’ascesa dell’Impero ottomano. Alla ricerca di nuove opportunità, mercanti e banchieri della Superba avevano allora rivolto la loro attenzione verso Occidente, e in particolare verso la Spagna, dalla quale i genovesi importavano olio, grano e vino e verso la quale inviavano tessuti e altri manufatti. Come spesso avveniva, il commercio aprì la strada al credito. Gli hombres de negocios genovesi divennero creditori della nobiltà spagnola e ben presto anche dei Re cattolici. Naturalmente i genovesi approfittarono immediatamente anche dell’apertura dello spazio atlantico. Vista in questa prospettiva, la svolta del 1528 diventa più comprensibile. L’élite genovese era da tempo legata a doppio filo alla Spagna e quindi all’Impero di Carlo V, e Andrea Doria si propose come interprete e garante dei suoi interessi. È significativo che accanto a lui, o meglio, dietro le quinte, si fosse ritagliato un ruolo importantissimo Adam Centurione, capo della casa commerciale genovese più attiva in Spagna. Lo stesso significato sociale e politico ebbe la riforma interna dello stato genovese voluta da Doria. Il potere dell’oligarchia aristocratica e finanziaria venne rafforzato escludendo la partecipazione popolare al governo. Le stesse poche famiglie insomma tenevano saldamente in mano le redini dello stato e i cordoni della borsa. E per l’oligarchia dominante questi vantaggi economici e politici compensavano ampiamente i limiti che alla libertà della Repubblica derivavano dalla tutela imperiale e dalla signoria informale di Andrea Doria.Nel 1528 Doria decise di cambiare committente, si alleò con Carlo V e divenne generale della flotta spagnola. Sulle rive opposte del Mediterraneo, tuttavia, in quegli stessi anni si stringeva un altro legame fra un corsaro e un imperatore: Khair ad-Din, detto il Barbarossa, signore di Algeri. Si creava un’alleanza con il più grande dei sultani ottomani, Solimano il Magnifico. Il Mediterraneo divenne il campo di battaglia dove si confrontarono questi due formidabili schieramenti. I tempi e gli esiti di tale lotta sono da inserire in uno scenario globale che aveva ormai assunto dimensioni planetarie. Carlo V doveva infatti fare i conti con la Francia, eterna rivale, e con i principi protestanti tedeschi all’interno del suo Impero. Anche gli ottomani, del resto, avevano i loro problemi, primo fra tutti la rivalità con l’altro Impero islamico, la Persia safavide, che a sua volta doveva guardarsi le spalle dagli uzbeki. Il 9 settembre 1528 Doria sbarca vittorioso a Genova. Il popolo gli offre la corona, ma lui la rifiuta e chiede invece una riforma e la rinascita del Comune. Il popolo gli offre la corona, ma lui la rifiuta e chiede invece una riforma e la rinascita del Comune. Nel mare interno il risultato fu un alternarsi di vittorie e sconfitte. Lo scontro navale combattuto il 28 settembre 1538 al largo di Prevesa, nello Ionio, fece tuttavia pendere la bilancia dalla parte dei musulmani. La flotta cristiana, comandata da Andrea Doria, pur numericamente e tecnicamente superiore, venne sconfitta da quella turco-barbaresca guidata dal Barbarossa. Questo fu forse il momento peggiore nella carriera di Andrea Doria, il cui operato venne aspramente criticato. Nel 1541 si registrò un nuovo fallimento ispano-imperiale nel tentativo di conquistare Algeri, anche se questa volta Doria (che si era opposto al progetto) non era presente e anzi il suo intervento successivo ne ridusse i danni. Da allora, per alcuni decenni, i cristiani nel Mediterraneo furono costretti sulla difensiva e le galee turche e dei loro alleati barbareschi imperversavano ovunque. È l’epoca d’oro della guerra di corsa, condotta da figure leggendarie come lo stesso Barbarossa, Dragut, e Uluc Alì – l’Uccialì dei cronisti italiani. E proprio l’Italia, con il suo lunghissimo e indifendibile sviluppo costiero, fu quella che pagò il prezzo maggiore: centinaia di paesi e cittadine furono saccheggiati e decine di migliaia di sventurati vennero trascinati come schiavi ad Algeri o a Istanbul. Genova e la Liguria furono però spesso risparmiate, forse anche grazie alla diplomazia segreta di Doria e alle cospicue risorse finanziarie dei suoi banchi, banchi che erano in gran parte gestiti da finanzieri ebrei e napoletani. Per un’ironia della storia, il periodo di massimo potere di Andrea Doria coincise con una parentesi di supremazia musulmana sul mare, che avveniva dopo quasi cinque secoli di predominio cristiano, anzi italiano. E l’italiano era la lingua franca del Mediterraneo. La responsabilità però non può essere fatta ricadere sull’anziano luogotenente imperiale.. La forza dei turchi e dei barbareschi, al di là dell’abilità dei loro ammiragli e corsari, stava soprattutto nella discordia fra i cristiani. La Francia, in ossequio ai dettami della ragion di stato, si alleò anche apertamente con turchi, mentre Venezia, la principale potenza navale cristiana del Mediterraneo, diffidava dell’imperialismo asburgico e i suoi rapporti con l’Impero ottomano furono sempre all’insegna dell’ambiguità. Vi era certamente una contrapposizione religiosa e una rivalità strategica, ma vi era anche una sostanziale complicità economica nella gestione dei traffici – soprattutto di spezie – fra Oriente e Occidente. Dunque la Serenissima era prudente e restia a impegnarsi a fondo. Nel maggio del 1560 ci fu un nuovo disastro. La flotta cristiana, formata da galee spagnole, genovesi, pontificie, sabaude e dell’Ordine di Malta, fu annientata da ottomani e barbareschi, insieme alle truppe sbarcate sull’isola di Gerba, nel sud della Tunisia. Andrea Doria, ormai ultra novantenne e non più direttamente al comando, apprese la notizia nel suo palazzo di Fassolo, dove sarebbe morto pochi mesi dopo, il 25 novembre 1560. A guidare le navi genovesi nella rivincita di Lepanto, poco più di dieci anni dopo, sarebbe stato il nipote, Giovan Andrea Doria.La Battaglia di Lepanto, combattuta tra la Lega Santa (Spagna, Venezia e Roma) e i turchi, scoppiò a causa dell’attacco ottomano a Cipro, un possedimento veneziano. XVI secolo. Il lascito dell’ onegliese Andrea Doria resta comunque enorme e si svilupperà anche oltre Atlantico, grazie al gran numero di liguri che si trasferirono verso il Nuovo Mondo. Un lascito che va oltre il dato storico e politico e che si lega anche a molte tradizioni che la sua terra natale, Oneglia, ancora oggi conserva. Il dominio genovese era ben più ampio e già all’epoca precedente alla signoria di Ceva Doria, padre di Andrea, si estendeva dalla Francia al Nord Europa, dal Mediterraneo al Mar Nero, al Vicino Oriente. Da Oneglia e da Porto Maurizio si muovevano uomini e merci nel mondo conosciuto, autentiche succursali del dominio di San Giorgio.
Casalino Pierluigi

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