LE VIE DELL’ANIMA

                                     LE VIE DELL’ANIMA

La nostra cultura si distingue per l‘ignoranza della morte. L’arte e i riti della vita di molte altre culture, da quella dell’antico Egitto a quella etrusca, ma anche a quelle più vicine a noi e più moderne, rendono onore alla realtà ultramondane. Noi, pur nutrendo nostalgia a volte patetica per le cose andate, non conserviamo alcun culto per gli antenati, salvo la venerazione un po’ in ribasso verso le anime del purgatorio. E ciò a differenze degli antichi romani e degli orientali, cinesi compresi. La concezione che alla morte della persona sopravviva qualcosa di essa e forse in altra dimensione continui a durare nelle sue sensazioni, nei suoi sentimenti e aspirazioni, è idea antica e ad un tempo recente. Due quadri del pittore Louis Janmot colgono, in due diverse situazioni di luce, l’atmosfera che accompagna l’anima nel suo avvicinamento al mondo ultraterreno. L’esigenza di fare compagnia a chi trapassa sorge in epoca tanto remota, rispetto al nostro concetto di storia, che il dato cronologico deve fare profondamente riflettere, in un mondo così mutevole come il nostro. E soprattutto riflettere sul come la considerazione sull’idea di sopravvivenza, formulata probabilmente già dall’uomo di Neanderthal, sia ancora alla base degli indirizzi filosofici e religiosi di gran parte dell’umanità. Nonostante le frammentazioni di tale credenza, tramandataci dal passato, il nocciolo duro viene conservato nella memoria collettiva dei moderni, come era in quella degli antichi. La consapevolezza del ritorno dal silenzio è vivo in noi. Sul tema era già presente una fitta letteratura “parapsichica”, che aveva raccolto la testimonianza di “morenti” sia nella condizione di agonizzanti, pur restando ancora questi in uno stato di “viventi”. Allan Edgard Poe era preso di angoscia di fronte a tali fenomeni e ne descrive le sensazioni e i timori che suscitano nell’animo umano. Il caso più celebre è quello, tuttavia, descritto da Platone nel decimo libro della “Repubblica” e riferito al soldato Er, ritenuto morto in battaglia e risorto dopo dieci giorni, dopo un periodo di catalessi. Er narra visioni del suo viaggio dell’aldilà, dal quale ritorna. L’indagine promossa da Papa Gregorio Magno su casi simili si inserì nel contesto della dimostrazione del miracolo. Su tale argomento si è descritto molto. L’aumentare del numero dei resoconti fondamentalmente coincidenti portò nel 1975 Raymond Moody a ritenere possibile la sopravvivenza di un’entità personale autonoma distinta dal corpo e dalla mente. Se questo è vero si perviene alla rimozione della morte, con il rovesciamento del rapporto di forze idealmente concepito dal pensiero medio degli uomini. Il corpo sarebbe pertanto uno strumento dell’anima nei tempi brevi, in vista della sua trasformazione, al compimento ultimo e ignoto. Una rivincita dell’aldilà? Non certo per i credenti, che per vocazione, e convinzione, danno per scontato, senza spiegarselo, il mistero dell’immortalità dell’anima e quindi della vita oltre la morte. Ma nemmeno per chi non segue una religione positiva e coltiva, invece, una fede spirituale e naturale nell’avvenire dell’uomo. Un mondo quindi sovra-popolato anche da chi non si mostra più.

Il problema è quello di identificare l’”altrove”, ancorché non misurabile con le categorie sensibili. Eterna questione (ed emozione) sempre aperta. La costruzione mitica de regno dei morti, le narrazioni omeriche e virgiliane, dantesche e islamico-esoteriche (Liber Scalae) concordano nel viaggio dell’uomo nell’altro mondo, prova e anticipo di quello futuro senza fine e senza ritorno. Quando riusciremo ad inviare gli esseri umani nel regno dei morti sulle orme di Virgilio e di Dante. E’questo il regno “sciamanico” di sempre, che si rivela sempre più reale, con la prospettiva del rientro, come un astronauta da un lungo volo cosmico, oltre il tempo e lo spazio, dall’indefinita dimensione dei cieli. Significativo è il messaggio che in proposito ci propone la “Tomba dei leopardi”, che raccoglie informazioni sull’aldilà etrusco. Una probabile verità che Hebbel ha sintetizzato nella frase “La vita è solo un’altra morte. La morte non è la fine, ma l’inizio della vita”. E’ l’archetipo della navigazione: la nostalgia di raggiungere la terra dall’altra parte del mare. Il segno antico resta indelebile: siamo seme di stelle, secondo la concezione di Tito Lucrezio Caro nel De rerum Natura. Casalino Pierluigi, 26.09.2010.